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La Gerusalemme Digitale Politica, Economia e Desideri di un Essere Collettivo
di Ignazio Licata
 
 
 
Il concetto di “essere collettivo” si riferisce a sistemi in cui più agenti, interfacciandosi cognitivamente tra loro, danno luogo a fenomeni emergenti non riducibili ai singoli elementi. Un’entità di questo tipo ha molte delle caratteristiche dei sistemi viventi, in particolare il tutto è ampiamente indipendente dalla semplice somma delle parti.
La comprensione dei processi di comunicazione e conoscenza in Rete implica una riflessione critica sul “sistema cognitivo globale” di questo particolare essere collettivo: quali sono i meccanismi della sua memoria, quali pesi e codici influenzano la visibilità delle informazioni, cosa e come dimentica, o rimuove?
Non si tratta di un problema architettonico e tecnologico, ma di una questione sottilmente culturale. Come in ogni forma di comunicazione, molti elementi del discorso sono influenzati dal contesto e dalle specifiche modalità entro cui si svolge. E’ necessario indagare le semantiche nascoste dietro protocolli e piattaforme in modo da garantire una consapevole trasparenza delle attività e delle possibilità della rete, capirne i meccanismi di amplificazione e cancellazione, le diverse personalità collettive in gioco.
La Rete sarà più accessibile quanto più riusciremo a rilevare e decifrare le diverse convenzioni emergenti, sfuggendo al dibattito ingenuo sulla sua “naturalezza” o “artificialità”.
L’intera questione è attraversata e continuamente ridefinita da quella che possiamo identificare come una cifra essenziale delle società occidentali: la tensione tra la dilatazione dell’espressione individuale e le transizioni tumultuose dei nuovi bisogni di comunità.

1) Mappe, Territori, Esplorazioni

Il tema di una “cultura senza barriere” comprende in un unico appello quella che sembra una caratteristica, un’urgenza ed una possibilità della nostra contemporaneità. La questione che dobbiamo indagare è quanto, e come, una cultura senza barriere si realizza nell’incarnare il Sapere e la sue pratiche nel corpo de-localizzato della Rete.
Le possibilità tecnologiche “on–line” sembrano offrire una risposta liberatoria e definitiva all’esigenza antica di una condivisione permanente delle conoscenze, al punto da far intendere il rapporto binario on /off line come una demarcazione tra epoche culturali. L’epoca “off ” è segnata dalle catene del territorio e del mercato sul potenziale culturale, vincoli che ne determinano le caste gerarchiche, la localizzazione elitaria, il difficile accesso, tutti aspetti che favoriscono esclusione, controllo, censura. L’era “on” è invece lo scenario di un corpo glorioso ed immacolato, enciclopedico ed auto poietico, quello che Nicola Cusano direbbe ipersferico, e che:
“ha per così dire il suo centro ovunque e la sua circonferenza in nessun posto, poiché Dio è circonferenza e centro, dato che è dappertutto e in nessun posto”(De Dotta Ignorantia, 1488). E’ l’utopia del corpo angelico della “conoscenza” pura, liberata dai suoi gravami terreni. Davanti ad una prospettiva così radicale ed esaltante è necessario evocare almeno un tafano socratico posto ai fianchi della gerusalemme digitale “come ai fianchi di un cavallo di buona razza, ma per la sua stessa grandezza un poco tardo e bisognoso di essere stimolato”.
La prima puntura che vorrei proporvi è di tipo epistemologico e cognitivo. La polarità on/off ricorda molto da vicino il dibattito contemporaneo delle neuroscienze sui rapporti tra mente e cervello, quello che in altre sedi abbiamo chiamato il “paradosso di Gogol” ( Licata, 2008). Nessuno ha mai visto in giro una mente senza cervello come accade al naso della celebre novella russa, e neppure il cervello nel vaso di Putnam. La mente non può essere ridotta ai suoi “correlati neurali” o ad una macchina di Turing, ma è un processo dinamico che riorganizza continuamente le sue risorse nell’interazione tra organismo e ambiente. Sarebbe però assolutamente ingenuo adottare una prospettiva opposta, quella di una mente “indipendente” dalle bio-logiche da cui emerge. Spostato sulla dicotomia off/on sembrerebbe che nella modalità “off” il Sapere è in qualche modo “impuro”, corrotto e limitato dalle sue forme di produzione e trasmissione, mentre il mondo “on” permette alla conoscenza di librarsi verso cieli più liberi e puri con il solo appoggio di un corpo “immateriale”, realizzando il paradosso di Gogol. Questo spiega forse perché un certo neo-platonismo pervade molte teorizzazioni della rete. Abbiamo bisogno dunque di un po’ di sano aristotelismo come antidoto, per ricordarci che non esiste un medium “neutro” e che il Sapere stesso non può neppure essere concepito ed utilizzato senza il territorio e la merce, o più in generale senza il riferimento “attuale” alle motivazioni del bisogno qui ed ora. Se accettiamo di trasferirci sul pianeta “on” dobbiamo imparare a riconoscere che ci portiamo dietro intatte tutte le ricchezze e le conflittualità del mondo “off”, come accade agli esploratori di Solaris ( Lem, 1961). Nel romanzo gli uomini si interrogano sulla natura del pianeta con immagini che sembrano oggi efficaci metafore della rete. Solaris appartiene infatti alla classe dei “metamorpha”, uno “yogi cosmico”, opera una “auto metamorfosi ontologica”, è un “oceano debilitato”:
“ Chiunque si immerga nello studio delle numerose problematiche legate alle ‘costruzioni’ di Solaris ha l’impressione di trovarsi dinanzi a creazioni intelligenti, e talvolta geniali, mescolate senza ordine e senza scopo a prodotti di una stupidità confinante con l’idiozia”.
 I tre scienziati in orbita intorno a Solaris capiranno alla fine che il “pianeta vivente” non fa altro che restituire, amplificandole, le loro storie. Pensare la rete come incarnazione della “struttura” della conoscenza e deus ex machina computazionale per la risoluzione dei problemi di trasmissione del sapere equivale a far passare inosservate quelle che qui chiameremo “semantiche nascoste”, e che sono parte integrante di ogni processo cognitivo e di comunicazione. Queste non vanno considerate come “virus” maligni inoculati a bella posta nel corpo sano del sapere a perturbarne la fisiologia ottimale, ma sono un aspetto vitale dell’emergenza di ogni processo collettivo di produzione intellettuale e materiale autenticamente complesso, e dunque umano. Emergenza vuol dire che nessun singolo agente in un processo collettivo ha il pieno controllo dell’esito globale, e neppure consapevolezza della fuzziness semantica che attraversa e nutre la catena informazionale. Questo aspetto naturalmente non riguarda soltanto la rete “tecnologica” ma ogni processo culturale. In questo senso, la rete è sempre esistita perché non si dà conoscenza di alcun tipo al di fuori di una connessione “reticolare” tra agenti cognitivi distribuita nel tempo e nello spazio, un’ecologia delle menti in cui i vincoli e le barriere dei significati condivisi -esplicitamente ed implicitamente- costituiscono proprio l’aspetto essenziale e vitale del processo costruttivo.
La nozione di “barriera” non va vista dunque semplicemente come “limite”. Non basta più l’immagine rassicurante e liberatoria di uno spazio del Sapere “virtualizzato” ( Levy, 2002). La barriera va intesa nel senso più ampio di vincolo e veicolo della complessità dei processi di conoscenza. La rete digitale non è un territorio vergine, ma una mappa, e come ogni mappa è tracciata dalle scelte cognitive, estetiche, economiche , politiche, da bisogni, desideri e volizioni che esistono dietro e sotto l’informazione, in quel grande “vettore” che è il motore sporco e inefficiente del mondo e del corpo. Gran parte della complessità e delle semantiche nascoste trova origine proprio in quel mondo “materiale” che spesso ci illudiamo di esserci lasciati alle spalle. Proprio come non si può camminare senza attrito, lo sviluppo di conoscenza è impossibile se sradicata dalle “intenzioni al contorno” materiali e cognitive che ne costituiscono il motore. Rendersi conto di questo è un passo indispensabile per superare la falsa dicotomia on/off e la questione della naturalezza e dell’artificialità della rete, ed aver chiaro che l’uso della rete mostra due direzioni che hanno vocazioni asintoticamente diverse:

“La Rete è sospesa oggi tra due scenari in equilibrio instabile: da una parte la vitalità della risorsa collettiva, la virtualità "virtuosa", la condivisione e lo sviluppo delle conoscenze e dei progetti; dall’altra il "congelamento" della virtualità come vita "artificiale", parallela, alternativa ed in sé conclusa, la virtualità senza vitalità della macchina dei desideri. Il futuro politico della Rete si decide proprio in rapporto al prevalere o meno di una di queste due possibilità. O comunque dalla misura in cui almeno una di esse riuscirà a restare una pratica possibile” (Licata, L‘utopia e la rete, in Decoder).
Le “virtù” della rete sono dunque quelle delle emergenze possibili che la sua attività dinamica produce. Non esistono saperi incorporei, ma processi reticolari che rispecchiano le scelte plurali dei suoi agenti. Ognuna di queste scelte produce reti diverse ed usi diversi della rete. Proprio come accade con la nostra mente ed il linguaggio, il “global brain” è un processo che non si limita a trasmettere informazione, ma la riplasma in relazione alle dinamiche degli agenti in gioco producendo mondi semantici in competizione/cooperazione tra loro. Lo scenario più adatto per analizzare questi aspetti è fornito dalla fisica dell’emergenza ed in particolare dal concetto di “essere collettivo”

2- L’ Essere Collettivo tra Paradigmi & Paradogmi

Per Essere Collettivo intendiamo un insieme di agenti cognitivi che si interfacciano per operare assieme all’interno di un modello condiviso. Il modello non va qui inteso come un insieme di statements ben specificati, ma piuttosto come una costellazione di pratiche e “paradigmi in cui confluiscono assieme conoscenze ed interpretazioni, strategie comunicative di sovrapposizione ed interferenza, intenzioni, e semantiche “hidden”.
Per fare un paio di esempi volutamente “ampi”, pensiamo alle opera barocche. Oggi possiamo deliziarci del genio individuale di Vivaldi, Porpora o Hendel, ma per comprendere quel processo di produzione musicale non possiamo rifarci soltanto ai trattati musicali del tempo ( che di quel mondo rappresentano la conoscenza esplicita), ma anche a quelle convenzioni del “Teatro alla Moda” su cui si esercitò l’ironia sottile di Benedetto Marcello. Un altro esempio è quello della produzione scientifica, dove al di là delle teorie e degli esperimenti idealizzati dei papers, c’è un “saper fare” che è strettamente collegato ad un complesso gioco di convenzioni, pregiudizi, e interessi che attraversano e assestano i giudizi della “comunità“. Questa situazione complessa è molto ben descritta dai nuovo concetto di “microparadigmi”: idee-guida che costituiscono il “filtro cognitivo” della ricerca, e che sono spesso plasmate da interessi economici e bisogni tecnologici che “selezionano” un trend di ricerca rispetto ad un altro di uguale dignità intellettuale ma poco funzionale al sistema.( Giuliani et al., 2008).
Ci avviciniamo rapidamente al sapere dell’uomo comune ed ai meccanismi di formazione della “pubblica opinione”, quelli che altrove abbiamo definito “paradogmi”:
“Saldamente ancorata ai bisogni ed ai meccanismi sociali, veicolata ed amplificata dalla comunicazione di massa, la parodia della pubblica opinione funziona ai massimi livelli proprio nelle società che credono di essere più smaliziate, dove ognuno si sente ormai abbastanza "soggetto" da non poter avere nulla a che fare con la media grigia del modello. In realtà, la regola comprende tutte le sue eccezioni, proprio come un valore medio comprende concettualmente il gioco delle fluttuazioni che danzano intorno ad esso senza mai allontanarsene troppo. È l'esistenza di una Pubblica Opinione che permette ad ognuno l'illusione, questa sì "privata" fino alle soglie del solipsismo, di un proprio spazio "eretico", di una "diversità" che in fondo è solo variazione su tema. Gli opinionisti sono i grandi solisti di queste variazioni, personaggi mediaticamente estrapolati dal loro contesto originario, moltiplicati all'infinito per se stessi ed assurti al rango di predicatori della falsa pluralità. La banalità possente della Pubblica Opinione si rivela un gioco sottile, in grado di mettere in scena vari tipi di opposizioni o ribellioni illusorie.
Come un pianeta massivo, attira a sé ogni tentativo di espressione "personale", che si rivela così soltanto un satellite a cui spetta una ben precisa orbita più o meno eccentrica ma saldamente periodica - pensiamo alla ciclicità delle mode e delle contestazioni. In apparente contraddizione con la sua natura ottusa, la Pubblica Opinione fornisce gli alibi per l'offerta di un consumo culturale "raffinato", e per la proliferazione dei riti narcisisti della "coltivazione del sé". Più che alla vecchia metafora del parametro d'ordine, capace di mettere in riga elettroni nei laser e visioni del mondo nel corpo sociale in modo coerente, sincronizzato ed uniforme, è più utile guardare alla "moderna" Pubblica Opinione come ad uno strano attrattore, il volto geometrico del caos, percorsi infiniti che in realtà sono chiusi in un ristrettissimo spazio dove tutto è vicinissimo al suo contrario. La Pubblica Opinione, in una società ad alta virtualizzazione, costruisce visioni del mondo e dispositivi linguistici, come il mercato produce l'offerta delle merci e diversifica i suoi consumatori” (Licata, “Paradogmi” su Golemindispensabile).
A questo punto dovrebbe apparire abbastanza chiaro che le semantiche nascoste della rete derivano da quella rete più antica e stratificata che inoculiamo nei nuovi media e nelle nuove tecnologie e che è costituita semplicemente da quella rete culturale ed economica più ampia e diffusa che pre-esiste al nostro battesimo digitale.
Accade così che una risorsa potenziale ( appunto “virtuale”) come la rete si rivela troppo spesso un nuovo mondo già ampiamente colonizzato da vecchi schemi mentali. Sul piano “alto” la scienza “on-line” appare vincolata quanto quella delle riviste tradizionali, ed appena più “rapida”, mentre nell’enorme agorà disponibile per la contrattazione e lo scambio troviamo gli stessi feticci culturali e politici già ruminati dai media tradizionali, con buona pace per l’allergia dichiarata dai nativi digitali e dai loro più maturi sodali verso giornali e tv. Gli stessi attrattori a punto fisso, gli stessi luoghi comuni. In particolare, la stessa politica, gli stessi desideri, la stessa “struttura” economica.
E’ un bilancio amaro quello che ci si presenta sotto forma di un eterno ritorno de-materializzato alle lusinghe, illusioni e capitomboli del mondo “off”. Ma fin qui nulla di nuovo sotto il sole.
A preoccuparci è piuttosto l’idea di una sommaria “ri-definizione” della democrazia nella sua versione sub specie digitalis, tensione sempre più potente tra i sostenitori della rete. Le “anomalie” politiche ed i gruppi di affinità, la reti di coordinamento, monitoraggio ed intervento sul territorio, insomma tutti quei modi possibili e diversi di utilizzare la rete come strumento di pensare e fare la politica, sono ancora esperienze marginali. Sotto l’angelologia scolastica delle chiacchiere sulla cyber democrazia - attività oziosa e molto diffusa in cui si ritrovano vecchi guru e giovani furbi- , si assiste di fatto alle trasformazioni, neppure troppo originali- delle categorie tradizionali in politica. Non diversamente vanno le cose in economia: la rete è il veicolo principe proprio di quella globalizzazione selvaggia che ha progressivamente svuotato la rappresentatività democratica e l’ha relegata a nuova forma di spettacolo ego-centrato. Analogo discorso può farsi- e viene fatto con osservazioni estemporanee e saggi su riviste di scienze sociali dalla metodologia incerta- sull’arricchimento del concetto tradizionale di “identità”. Anche questo non è un fenomeno della rete, ma una semplice trasposizione dei processi in atto, con valenze diverse, nella società: da una parte la perdita di definizione dell’identità “statica”, una volta associata alle condizioni materiali ed al ruolo sociale dell’individuo, dall’altra la proliferazione della maschere seduttive e l’erosione dei “generi” sessuale in favore della mise en scene di un eros polimorfo ed insoddisfatto, appena “liquido”, secondo Z. Baumann. Ma naturalmente questi nuovi gradi di libertà antropologici sono illusori se non vengono radicati in un fare economico e politico diverso.
Non ci sentiamo dunque di condividere facili entusiasmi sulla banda larga o sul riciclaggio digitale dell’utopia e della “complessità”. La rete rappresenta una condivisione di risorse troppo importante per limitarsi a soluzioni facili di pura continuità. Pensiamo piuttosto sia necessario ingegnarsi per mettere “a testa in giù” quest’ennesima propaggine hegeliana delle rappresentazioni del mondo.


Bibliografia:

Lem, S. (1961) , Solaris (ed. it. 1982, tr. E. Bolzoni, Mondadori)
Levy, P. (2002), L’intelligenza Collettiva, Feltrinelli
Licata, I. (2002), L’Utopia e la Rete, in Decoder,
http://www.decoder.it/approfondimenti.php?task=view&articleID;=77
Licata, i (2004), “Paradogmi” in Golem l’Indispensabile ,
http://www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=7664&_idfrm=107
Licata, I. (2008), La Logica Aperta della Mente, Codice, Torino
Alessandro Giuliani, Carlo Modonesi, Lorenzo Farina, Ignazio Licata,Roberto Germano, Joseph. P. Zbilut,, (2008) “A Contemporary Pathology of Science” in Ann Ist Super Sanità ,Vol. 44, No. 3: 211-213


Isem, Institute for Scientific Methodology , Palermo
Ignazio.licata@ejtp.info