Scenari > Numeri > Quando i numeri ingannano
 
  
        
   
 
 
Ed eccoci tornati tutti a dare i numeri
di Andrea Velardi
 
 
 
Scrivere per lo scenario "Numeri" di Rescogitans mi sembra molto opportuno in questo momento. Mi spingono a farlo due importanti eventi che si stanno sovrapponendo in questi giorni legando i destini del nostro paese con quelli degli Stati Uniti d'America.
Qualcuno si starà chiedendo: ma cosa c'entra la filosofia e soprattutto Rescogitans con le campagne elettorali italiana e americana? Sgombro subito il campo da preoccupazioni legittime: non sto invitando i rescogitanti a parlare di politica. Ci sono altri blog che lo fanno già e che, se non più noti, lo sono almeno quanto il nostro sito (!?)
Ma è proprio nello spirito con cui si deve praticare la filosofia dei rescogitanti che scrivo perchè mi sembra assai importante il problema di come vengono trattai, esibiti e a volte manipolati i numeri. Problema che da punto nevralgico del marketing politico-elettorale si è trasformato in qualcosa di più ampiamente decisivo fino al paradosso di mettere in crisi la stessa interfaccia tra politica e società civile. Quella interfaccia che invece lo strumento della rilevazione e dei sondaggi dovrebbero rendere possibile.
Così in Italia dopo lo scioglimento delle Camere tutti sono alle prese con le bizze delle statistiche e sono costretti a dare i numeri nel senso vero della parola. Una prova lampante la offrono le due trasmissioni regine dell'infotainment. A "Porta a porta" Bruno Vespa provoca Renato Mannheimer sulla palese inaffidabilità dei sondaggi. Da grande professionista Mannheimer è stato costretto a riconoscere l'estrema difficoltà di catturare le intenzioni delle persone, ma si smarca dalla trappola sciorinando tutta la sua perizia scientifica e ammonendo i sondaggisti sulla incertezza dei giorni che precedono di poco il voto, sulla impossibilità di spacciare per proiezioni quelle che sono delle semplici intenzioni di voto e infine sul fatto che i sondaggi sono sempre più difficili in una situazione politica così fluida in cui l'elettorato è confuso, disorientato e volubile.
In contemporanea, a Matrix il candidato premier Walter Veltroni esprime senza troppe schermaglie la sua sfiducia nel potere condizionante dei sondaggi e cristallizza la sua serena indifferenza con due sentenze inappellabili: si, lo sappiamo, l'elettorato è malleabile e poi le rilevazioni falliscono perchè l'elettore prende in giro al telefono il sondaggista.
La crisi del governo e la nuova campagna elettorale che ci accingiamo ad affrontare sono maturate mentre assistevamo alla sfida entusiasmante che gli USA ci stanno proponendo, dopo otto anni tremendamente difficili e controversi proprio per un problema di numeri, per quel conteggio fatidico sul filo di lana che ha opposto George W. Bush ad Al Gore.
Il secondo si è preso la sua rivincita aggiudicandosi i due premi più importanti cui un uomo possa ambire: un Oscar e un Nobel nel giro di pochi mesi. Così ha potuto lasciare ad altri la sfida più prosaica della conta all'ultimo voto. Ed eccoci al match Obama/Clinton.
Se per l'Italia il conto all'ultima scheda e il problema dell'inaffidabilità dei sondaggi è questione spinosa, non è meno per il sistema consolidato di partecipazione democratica degli States.
Abbiamo visto tutti la ferrea Hillary ripercorrere le strade di Rossella O'Hara con il suo pianto (là c'era una carota stretta fra le mani strappata al brullo terreno di Tara in Georgia, qui invece una tazza e dei biscotti annegati in un caffè di Portsmouth nel New Hampshire!).
Proprio nel New Hampshire dove, secondo tutti i sondaggi, avrebbe dovuto perdere, la Clinton ribalta la situazione e riporta una netta vittoria contro Barack Obama. con una maggioranza del 40% contro il 36% dell'avversario: "In questi giorni vi ho ascoltato e in questo processo ho trovato la mia voce interiore. Credo che abbiamo tutti parlato dal cuore e avete risposto. Perciò ora diamo all'America quel ritorno che mi avete appena dato. La campagna non è un gioco, è per una differenza vera".
Ecco le parole importanti e decisive della questione: gioco e valori o differenze. La Clinton non batte ciglio e coglie perfettamente il discrimine tra i due concetti.
Verrebbe da chiedersi: delle due l'una. O i sondaggi, i metodi statistici più raffinati non riescono a cogliere cosa produca questa differenza sostanziale nelle menti delle persone, oppure proprio perchè la producono, e perchè sono altamente rappresentativi di questa fluidità sono costretti a sbagliare?
Potrebbe essere questa la vera domanda cui rispondere se non ci fosse di mezzo un altro incomodo: il potere mediatico. Non voglio ragionare sul fatto che i media abbiano in antipatia la Clinton e che l'appeal di Obama sia forte. Ma è fuor di dubbio che il mondo della comunicazione sta giocando una partita tutta sua che intorbida le acque già melmose dei flussi (o converrebbe dire flutti?) elettorali. Ma da questo stesso scenario apprendiamo che il modo in cui si presentano verbalmente o graficamente i dati influisce in modo sensibile sulla percezione del loro valore.
Se io voglio visualizzare attraverso dei salvadanai il calo del potere d'acquisto degli italiani negli ultimi dieci anni per ogni due anni, basterà diminuire la sproporzione su scala dei salvadanai che si riferiscono al singolo biennio per dare l'impressione che il potere d'acquisto non è calato poi così tanto. L'esempio è poco significativo perchè più¹ di come è calato non potrebbe e dunque in questo caso il trucco produrrebbe comunque, suo malgrado, un'evidenza incontrovertibile.
Nel caso di Obama e della Clinton l'esempio è invece paradigmatico.
In occasione del super Martedì si è scatenata la bagarre dei numeri. Il 5 febbraio in casa democratica si votava in 22 Stati con in palio 2.075 tra delegati e superdelegati. Sappiamo tutti che l'appuntamento non è stato cruciale come si pensava. La corsa rimane serrata e si deciderà al fotofinish in un close to callal quale gli USA ci hanno ormai abituato.
Ma il modo di comunicare i dati è davvero sintomatico in questo caso. C'è chi ha dato risalto al fatto che Obama avesse vinto in più Stati della Clinton e si fosse aggiudicato il match per 13 a 8. Ma, come sappiamo, Hillary ha prevalso nei più importanti, soprattutto in tutti quelli dove i sondaggi avevano evidenziato una rimonta e un possibile sorpasso di Obama. La California, lìobiettivo più¹ ambito perchè da sola mette in palio oltre un quinto dei delegati necessari per conquistare la nomination, è stata vinta dalla Clinton con forte distacco: 53% contro il 39% di Obama, secondo proiezioni basate sullo spoglio di metà delle schede.
Tra l'affermazione Obama vince sulla Clinton: 13 stati a 8 e l'affermazione "Hillary vince su Obama: 825 delegati contro 732" c'è una bella differenza. Ma non è l'analisi linguistica quello che ci interessa in questo caso, quanto la pertinenza. Infatti cosa è importante per eleggere il candidato alla presidenza americana: il numero degli stati o il numero dei delegati? La risposta non è controversa né dubbia, ma è una sola: il numero dei delegati. E allora che senso ha dare risalto al numero degli stati aggiudicati?
Anche Obama e il suo staff lo sanno bene tanto che tutto il loro lavoro nei giorni seguenti al super Martedì si è focalizzato sul tentare di evidenziare che la conta dei delegati lascia ampi margini di speranza al senatore dell'Illinois. In una parete del suo quartier generale è stato attaccato un foglio con le stime esatte dei delegati: Barack Obama 845, Hillary Clinton 836.
E allora la pertinenza dei numeri dove sta? Si potrebbe legittimamente pensare che sia una questione di enfasi e di risalto condizionata dal filtro mediatico per tenere viva la suspence su questa appassionante avventura o anche per parteggiare in modo felpato per l'uno, piuttosto che per l'altro candidato.
A complicare la situazione non aiuta nemmeno il sistema di conteggio per l'assegnazione dei delegati. Il Corriere della Sera del 6 febbraio titola "I media americani danno dati completamente diversi a seconda del sistema di conteggio".
I liberals, ovvero i democratici, hanno scelto un sistema di assegnazione complicatissimo. Al contrario i repubblicani semplificano tutto con l'equazione: vittoria nello Stato = vittoria di tutti i delegati dello Stato. Ma l'Elefante, si sa, non bada ai cristalli delicati della dinamica democratica. Invece il sistema dell'Asinello è "proporzionale" ma non a livello statale, bensì a livello distrettuale (diversi dalle contee), il tutto reso ancora più complicato nei caucus, considerando inoltre che ci sono delegati pledged (cioè vincolati a un delegato specifico senza possibilità di cambiare idea) e unpledged (possono cambiare voto alla convention) e i superdelegati scelti direttamente dal partito (circa il 20%)".
I superdelegati sono stati creati dopo le elezioni del 1980 per garantire maggiore forza ai notabili di partito. Forse nessuno lo ricorda, ma nelle elezioni del 1984 furono questi "nuovi mandarini", per echeggiare un'espressione di Noam Chomsky, a preferire Walter Mondale a un Gary Hart uscito vincitore con sei stati di vantaggio sul concorrente.
Dunque la questione da sollevare non è solo se contare gli stati o i delegati, ma se contare i delegati ottenuti in base ai voti dei vari Stati oppure i delegati assegnati alla convention di fine agosto a Seattle.
L'articolo del Corriere concludeva in modo significativo: "Ma tra tutti i principali organi d'informazione americani non ce ne sono due che diano gli stessi numeri. Secondo la Msnbc Obama avrebbe 840-849 delegati, Clinton 829-838. Per la Cnn, invece, alla ex first lady ne sono stati assegnati 540, uno in più di Obama. Per la Cbs Clinton è a quota 974, Obama a 905, la Abc assegna 872 delegati a Clinton e 793 a Obama, la Fox da Clinton a 845 e Obama a 765. Secondo il New York Times le cose sono ancora diverse".
E in questo volteggiare di danze statistiche i numeri servono proprio a questo: a permettere che si mantenga in vita il gioco della persuasione e dell'orientamento dell'opinione pubblica. A dimostrarlo è quello che succede quando anzichè dire che la Clinton è ancora in vantaggio su Obama, un sondaggio della Zogby fa leva sull'affievolirsi del distacco tra i due contendenti posizionati rispettivamente al 39% e al 38%. L'evidenza incontrovertibile dei numeri permette all'agenzia Acom di dichiarare non che la Clinton è ancora in vantaggio, ma che Obama è in rimonta: -1%.
Andrea Velardi (andreavelardi@libero.it)
Facoltà di scienza della formazione
Università di Messina