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Scenari > Corpo e tecnologie > Tecnologie della visione | |||||||||||||
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Se ci chiediamo che cosa ci suggerisce un paio di occhiali, dobbiamo ammettere che questa piccola protesi, fra le più comuni e diffuse, produce fuori di sé – oltre la propria funzione di strumento oculistico o di accessorio di moda e di significazione – una innumerevole quantità di suggestioni, di rimandi a mondi assai sofisticati, dalla scienza alla cultura, all’innovazione tecnologica e industriale, alla sperimentazione e alla progettazione, all’arte e alla moda. Come e più di altri prodotti della nostra cultura materiale, gli occhiali hanno una loro ricca biografia. Ma una biografia non comprende soltanto i fatti che si susseguono nel corso del tempo, una vita è fatta anche di relazioni e di comunicazione, di memoria e di futuro. Nel caso degli occhiali questi elementi emergono se siamo capaci di collocarli nella dinamica complessa della loro vita sociale. Questo significa prendere gli occhiali sul serio. Ma qual è l’elemento più significativo di questa biografia? E’ l’idea dell’occhio umano e delle sue protesi, di un occhio che piano piano affina le proprie capacità di vedere dotandosi di strumenti sempre più sofisticati, in un itinerario che ha portato dallo sviluppo delle prime lenti fino alle recenti protesi visive elettroniche. Gli occhiali come strumento protesico sono stati caratterizzati nel tempo da diversi modi di entrare in relazione con il corpo umano, che si possono sintetizzare nel seguente modo: 1. gli occhiali come oggetti per la mano 2. gli occhiali come oggetti per il naso 3. gli occhiali come strumenti per gli occhi 4. gli occhiali come strumenti per la persona. I primi occhiali si presentano come oggetti semplici: due singole lenti, le cui impugnature vengono accostate e fissate tramite un perno, a formare una mezza forbice. Nonostante l’iconografia medievale ce li mostri spesso inforcati sul naso di lettori e scrivani, amanuensi e prelati, mercanti e banchieri, evidentemente quel tipo di occhiali era soprattutto un oggetto per la mano, essendo del tutto palese che essi mai avrebbero potuto starsene ben fissati sul naso, mentre le mani erano impegnate a svolgere i larghi fogli, a impugnare la penna o lo stilo, a intingerli negli inchiostri e nei colori. Si può ragionevolmente ipotizzare che essi venissero impugnati per vedere qualche particolare, verificare l’esecuzione di un dettaglio, e poi riappoggiati su un piano o forse inseriti in una tasca, o lasciati cadere appesi a una cintura. Gli occhiali in quel momento fanno parte di un sistema di oggetti relativo a professioni che hanno quasi tutte nella mano il loro centro operativo: amanuense, copista, calligrafo, incisore, miniaturista, insegnante, mercante, scrivano, contabile, notaio, giudice, orafo, filatore, falegname, sarto. Oltre all’approssimazione ottica delle lenti, il punto critico dei primi occhiali era precisamente la loro interazione con il corpo, con il viso, gli occhi, il naso. Non sorprende quindi constatare che lo sviluppo degli occhiali è segnato inizialmente dai tentativi di trasformarli da oggetti per la mano in oggetti per il naso. Il passaggio dai primi occhiali a snodo del Trecento a quelli ad arco indica precisamente questa ricerca: prodotti in rame, fanone di balena, corno, tartaruga e poi in cuoio, gli occhiali ad arco possono finalmente essere calzati sul naso, tramite il “nasello”, anche se ancora con evidenti difficoltà. Né erano totalmente efficaci le piccole corde che venivano aggiunte, attraverso due fori o anelli, e legate dietro alle orecchie. Per diventare davvero occhiali per occhi, sarà necessario attendere la comparsa dell’astina, prima in forma di “tempiali” (astine che stringevano le tempie), poi finalmente nel 1700 astine da appoggiare sulle orecchie. Essere oggetti per occhi significa entrare nel novero di quel sistema di oggetti e strumenti, saperi e conoscenze che hanno dato origine alla cultura del vedere e al primato dell’occhio. Momenti centrali della preminenza del vedere sono, come è noto, sia la regolazione del mondo percettivo attraverso la visualizzazione artistica, sia la conoscenza del mondo della natura attraverso le scienze sperimentali. Ne sono emblemi riconosciuti, nel primo caso la prospettiva e la camera ottica; nel secondo il cannocchiale di Galileo Galilei e il microscopio di Antoni van Leeuwenoek, strumenti che assegnavano all’occhio umano la possibilità di vedere ciò che prima apparteneva solo al divino: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Che significato ebbero gli occhiali in quel contesto scientifico e artistico? “Ciò che gli artisti andavano propugnando altro non era se non un nuovo modo di guardare il mondo, e proprio questo, appunto, facevano gli occhiali. Certo, si trattava di un oggetto di cui servirsi, ma anche di una metafora […] Gli occhiali, in realtà, anticiparono la “nuova arte” di un buon secolo e mezzo, ma con l’andar del tempo finirono per simboleggiare universalmente i risultati conseguibili con la prospettiva artistica. Uno strumento che letteralmente metteva a fuoco ambienti noti illustrava in modo naturale ed efficace che cosa avrebbe potuto significare… vedere il mondo con occhi nuovi”, come ci racconta R. Paneck nel suo bel libro Vedere per credere (Einaudi, 2000). Tutto questo avvenne prima del 1608, anno nel quale fanno la comparsa i primi cannocchiali, messi a punto da occhialai-inventori, soprattutto nell’area dei Paesi Bassi, dove uomini pratici, artigiani, vetrai – talvolta ciarlatani girovaghi – riuscirono a intuire le capacità moltiplicatrici dell’accostamento di una lente concava e di una convessa. Da qui, come è noto, la notizia giunse alla curiosità e alla passione conoscitiva di Galileo Galilei, forse nel modo che ci viene rappresentato da Bertold Brecht nella sua Vita di Galileo: “Ludovico – Prendete per esempio questo strano tubo che vendono ad Amsterdam. L’ho esaminato minutamente: un fodero di cuoio verde e due lenti, una così (disegna con un gesto una lente concava) e un’altra così (ne disegna una convessa). A quanto ho sentito dire, una ingrandisce, l’altra impicciolisce: di conseguenza ogni persona normale crederebbe che si annullino. Macchè! Si vede tutto cinque volte più grande. La scienza! Chi ci capisce niente? Galileo – Cosa si vede cinque volte più grande? Ludovico – Le punte dei campanili, i colombi, tutto quello che è molto lontano. Galileo – Le avete viste coi vostri occhi, quelle punte di campanili ingrandite? Ludovico – Sissignore. Galileo – E il tubo aveva due lenti? […] Quand’è che l’hanno inventato? Ludovico – Credo, qualche giorno prima della mia partenza dall’Olanda. Comunque solo da allora era in vendita.” In questo periodo si stabilisce anche una forte contiguità fra lavoro pratico di occhialaio e speculazione scientifica e filosofica. Non a caso Baruch Spinoza, lo scontroso “ebreo di Voorburg”, espulso dalla comunità per manifesta e intollerabile eresia, per vivere fabbricava e vendeva lenti “cosa in cui eccelleva, e c’è da credere che se la morte non fosse arrivata in anticipo, avrebbe scoperto i più bei segreti dell’ottica” (Trattato dei tre impostori, Einaudi, 1994, p. 35). Per Spinosa, che aveva allestito nel retro della sua casa un laboratorio mosso da necessità economiche, ben presto l’intaglio delle lenti divenne anche oggetto di un profondo interesse scientifico e filosofico, soprattutto in ambito chimico-biologico e astronomico. Microcosmo e macrocosmo, appunto. Spinoza e Vermeer, van Leeuwenoek e Rembrandt, Constantjin Huygens, olandesi tutti con una fiducia straordinaria nelle capacità di osservazione dell’occhio. La singolare vicenda che accomuna scienza e pittura nell’Olanda del 1600 testimonia quanto la fabbricazione delle lenti e la loro applicazione ai più diversi campi della vita, della scienza e dell’arte siano state una delle innovazioni più straordinarie del XVII secolo. E questo, non dimentichiamolo, all’interno di un sistematico e crescente interesse per il corpo umano e la sua rappresentazione, che riguardava la comunità intellettuale europea. La conoscenza del corpo è una tematica centrale nella storia della visione e degli occhiali. Gli occhiali nascono prima che si sia compreso il meccanismo della visione. Accanto alla strada tracciata dalla Diottrica cartesiana, possiamo intuire quanto gli studi su anatomia, chirurgia e fisiologia dell’occhio – e la loro rappresentazione in forma di disegni, tavole, ceroplastiche e modelli – siano un presupposto essenziale per il passaggio degli occhiali come rimedio empirico agli occhiali come strumento medico - oculistico efficace. Per parlare di trasformazione degli occhiali da strumenti tecnici a oggetti d’uso si dovranno però attendere ancora alcuni decenni. Questo passaggio, lungi dall’essere puramente funzionale, ancora una volta determina l’apertura di prospettive nell’ambito dei comportamenti sociali, della comunicazione intersoggettiva, della moda e persino della psicologia. A me piace collocare storicamente l’inizio di questa avventura nel momento in cui la società di corte trasferisce e allarga i propri comportamenti a strati più ampi, quando cioè l’uso degli occhiali, il loro significato profondamente ostentativo e di grande prestigio, si trasferisce all’aristocrazia e alla borghesia urbana. La vita mondana diventa la scena principe dei nuovi rituali dello sguardo: fassamani, cannocchiali corti, binocoli, ma anche ventagli e bastoni con lenti – veri e propri gioielli di squisita manifattura – sono strumenti di osservazione e seduzione, spesso esasperata e insolente, a teatro e lungo le passeggiate alberate e nei parchi, come ci ha tramandato tanta letteratura ottocentesca. Proprio l’”inutilità” pratica di questi strumenti, che non avevano una finalità correttiva ma soltanto “comunicativa”, dimostra che gli occhiali sono entrati a pieno titolo nella vita sociale. Tuttavia, essi vi penetrano anche per altre strade, diverse dalla moda, per esempio attraverso l’impulso dato dagli studi di oculistica e oftalmologia. Dai tempi di Petrarca fino a quelli di Edgar Allan Poe, portare gli occhiali correttivi in pubblico, al di fuori di una funzione lavorativa, era considerato in modo negativo. Il poeta italiano si rammaricava nelle sue lettere Ai posteri di dover mascherare “con riluttanza” la vivezza dei suoi occhi con un paio di occhiali. Poe, nel suo racconto intitolato proprio Gli occhiali, racconta: “Ho grandi occhi grigi; e benché essi siano in realtà deboli a un grado davvero sconveniente, questo difetto non è tuttavia sospettabile dal loro aspetto. Questa miopia è nondimeno sempre stata il mio cruccio e sono ricorso a ogni rimedio, fuorché quello degli occhiali. Essendo giovane e di bell’aspetto è naturale ch’ io li aborra ed abbia assolutamente rifiutato di usarli. Non conosco infatti nulla che sfiguri di più la fisionomia di un giovane, imprimendo ad ogni lineamento un’aria di affettato candore se non addirittura di santocchieria e di anzianità”. Ma già alla fine dell’Ottocento, nei grandi magazzini che ormai popolano le capitali europee e americane, gli optical department offrono a una clientela ampia gli occhiali a seconda delle prescrizioni dell’oculista, così come modelli di protezione per guidare la bicicletta e per il lavoro in un settore distinto dagli spectacles. La penetrazione sociale degli occhiali avviene ormai in tutti i settori della vita. Dopo la rivoluzione industriale aumentarono notevolmente i lavoratori che, oltre ai minatori o agli operai delle fonderie, hanno necessità di una protezione per gli occhi, come testimonia l’introduzione di norme per la tutela della salute sul lavoro. La nascente società di massa dilata le esigenze, moltiplica le tipologie, le forme, i materiali non solo degli occhiali ma di tutti gli strumenti di osservazione. Per la ricerca scientifica applicata emerge la necessità sia di strumenti ottici sempre più sofisticati, sia di apparecchi per proteggere gli occhi in laboratorio. La misurazione del territorio per lo sviluppo di reti e infrastrutture dipense sempre di più dalle prestazione degli strumenti. Come sempre accade, anche la guerra e il syuo apparato tecnico forniscono nuove protesi per gli occhi: protesi di offesa nell’ottica dei sistemi di puntamento; protesi di misurazione e perlustrazione visiva terrestre e marina, e protesi di protezione individuale come le maschere a gas. Il Novecento porta con sé anche la nascita del turismo e dello sport, che richiedono una schermatura nei confronti di agenti atmosferici, ma anche il desiderio di guardare sempre più lontano, di osservare panorami e punti di vista: la montagna, con l’escursionismo e lo sci; gli ambienti estremi, con le esplorazioni e le spedizioni; la mobilità individuale con bicicletta, motocicletta e automobile sono i nuovi agenti di sviluppo di protesi ottiche. Ma il Novecento porta a compimento anche l’itinerario che Gian Piero Brunetta ha chiamato il “viaggio dell’icononautica”: un itinerario che è passato dalla camera oscura ai fratelli Lumière, dai giochi ottici, dalle lanterne magiche alla grande cultura visiva moderna, in primo luogo cinema e fotografia, e poi arte e progettazione, fino al multiforme mondo del disegno industriale e agli attuali strabilianti strumenti dell’intrattenimento e della visione in movimento. |
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