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Scenari > Esperimenti | |||||||||||||
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La prima esperienza o, per dirla più esattamente, la prima osservazione primitiva è sempre un primo ostacolo per la cultura scientifica. Questa osservazione primitiva si presenta infatti lussureggiante di immagini; essa è pittoresca, concreta, naturale, facile (1). Non bisogna far altro che descriverla e meravigliarsi (2). In questo modo Gaston Bachelard, in un gustosissimo testo del 1938 intitolato La formation de l’esprit scientifique, tratteggia la descrizione dello stato prescientifico del cammino del pensiero, comprensivo di antichità classica, Rinascimento, «secoli dei nuovi sforzi» (3), il XVI, il XVII e il XVIII, immediatamente precedente allo stato scientifico e alla fase del nuovo spirito scientifico, inaugurato, per l’esattezza, nell’anno 1905 dalla relatività einsteiniana. Tale descrizione si equilibra su di una forte corrispondenza: ogni tratto del carattere dello stato prescientifico e della sua mentalità, è allo stesso tempo un ostacolo epistemologico al procedere della scienza verso il nuovo spirito e motivo di perdita del suo vettore d’astrazione(4): ostacolo non è da intendersi semplicemente nell’accezione di impedimento, regresso ed inerzia, ma, con presumibile riguardo alla nozione bergsoniana, in quella più articolata di ostacolo-organo, cioè, di ostacolo con ambivalente funzione propulsiva nei confronti di uno sviluppo fisiologico. A patto che vi sia un attento epistemologo, cui spetta il compito di individuare questi ostacoli, dominarli, psicoanalizzarli, stabilirne le relazioni e le gerarchie, illuminarne la natura «confusa e polimorfa» (5). Abbiamo letto che l’osservazione primitiva si costituisce essa stessa come ostacolo in quanto lussureggiante di immagini: cosa ci sta suggerendo, proprio Bachelard, con questa affermazione, forse che le immagini siano per loro stessa natura una selva in cui si smarrisce ogni orientamento? Forse si sta riferendo ad immagini troppo lussureggianti, capaci cioè monopolizzare l’attenzione spostandola unicamente su coloriture ed effetti, distogliendola dalla direzione corretta, quella dell’astrazione? La concretezza può rappresentare un pericolo, ha sempre potuto presentarsi come insidiosa perché attrae nel vortice dei particolari, e dei particolari, secondo antichi maestri, non v’è scienza. Il particolare è un tramite: è necessario prestare attenzione a non finirne innamorati, si può essere condotti dal particolare al particolare, ma, molto meglio è passare, transitare verso l’universale, altrimenti si finisce per cadere nella trappola della varietà, che non è, beninteso, variazione: si rischia di dare vita, volendosi pronunciare peggiorativamente, ad un saltellante sapere a balzi. Tuttavia, non per forza un sapere costruito attraverso parti, e, parti di parti è da ritenersi disorganico, anzi, seguendo Doležel, con esso, ci si addentrerebbe nel cuore di una formazione mereologica, dove l’intero è costituito da un insieme di parti, ciascuna delle quali è un intero a propria volta, fatto di altre parti, ecc. Secondo Doležel, un modello di tipo mereologico si fonda su postulati precisi (6), ne sarebbero testimonianza proprio alcuni testi aristotelici, come la Poetica o il De partibus animalium. A questo riguardo Abbiamo già osservato che la poetica universalistica, concentrata sugli ‘attributi essenziali' della poesia, non può eliminare dal suo campo visivo opere poetiche particolari. Ci è ora possibile definire con esattezza questa «zona morta»: la zona che si situa tra le categorie del livello più basso del modello e le manifestazioni concrete della struttura generale. Nella poetica universalistica questa zona viene colmata dagli esempi; un altro modo per riempire il vacuum, l’analisi cioè e l’interpretazione delle opere individuali, non esiste (7). Questo uso dell’esemplificazione, del caso particolare, è pertinente soltanto in occasione di un sapere poetico? Per quale motivo il sapere scientifico non potrebbe giovarsene se non rischiando di destare sospetti riguardo alla propria validità, sono ancora così tesi i rapporti tra arte e scienza? Gli esempi, nelle loro fattispecie di paradeigmata, exempla, racconti brevi ammantati di veridiche quanto fantasiose e poco realistiche possibilità, fatti coloriti e vari (8), resoconti di avvenimenti pittoreschi, spettacolari experimenta cui viene invitato un selezionato pubblico di dotti e curiosi, rappresentazioni figurate, narrazioni di esperienze personali troppo concrete, metafore estese abusivamente (9), sono tutti ostacoli epistemologici che segnano i lineamenti dello stato prescientifico, secondo Bachelard, e ne perturbano il cammino. Siamo di fronte alla stessa diffidenza o meglio, alla stessa ambivalenza che i retori, dall’antichità in poi, nutrivano nei confronti degli exempla e della relativa costellazione, ben rispecchiata dal gruppo di ostacoli elencati qui sopra. Un racconto seducente può tuttavia essere la chiave di volta di una dimostrazione e probare movendo o, a rovescio, movere probando, solo se chi ne fa uso è in grado, acutamente, graciániamente e ad arte, di trovare un elegante equilibrio tra rigore e passioni. La cattiva opinione nei confronti degli experimenta mondani, come quello, per citarne solo uno, della cena elettrica di Franklin, dove venne ucciso un tacchino con la scossa elettrica e fu arrostito su di un girarrosto elettrico davanti ad un fuoco (10), ricorda l’ostilità di provenienza laica e religiosa che, a partire dal XIV secolo, l’exemplum ha incontrato: gli umanisti lo screditarono per la sua rozzezza, fino a quando non lo trovarono emancipato e indipendente da ogni contesto, nella forma della novella; gli ecclesiastici, turbati dalla sua esagerata spettacolarità, inadatta a trasmettere l’immagine della Chiesa, ne irregimentarono la presenza nei sermoni, attraverso una serie di specifiche conciliari (11). L’exemplum si era ormai offerto non soltanto come la possibilità di rendere visibile un concetto, ma anche di renderlo drammatico, farne spettacolo in forma breve, chiusa, agita, sapientemente modellata su di un uditorio particolare, curioso, ghiotto ed impaziente. Naturalezza esibita e costruita ad arte (sprezzatura) da chi fornisce un exemplum, mago prestigiatore della parola, e facilità di accoglienza presso coloro che poco sforzo devono produrre per rimanere attenti o per ricordare: gli esempi si imprimono nella memoria, seguendo Frances Yates, che cita la Summa Theologiae di Tommaso, forse perché «le semplici e spirituali intenzioni scivolano via facilmente dall’anima, a meno che non siano, per così dire, incatenate a qualche simbolo corporeo», rese sensibili (12). Ma tornando a Bachelard, Anche nelle classi elementari il pittoresco e le immagini esercitano lo stesso genere di disastri. Nel momento in cui un’esperienza viene presentata con un’apparecchiatura bizzarra, […] la classe diventa subito attenta agli eventi, trascurando semplicemente di guardare i fenomeni essenziali. […] Nell’insegnamento elementare insomma, le esperienze troppo vive e troppo figurate rappresentano dei centri di un falso interesse. Non bisognerebbe mai smettere di consigliare al professore di passare ininterrottamente dalla tavola delle esperienze alla lavagna ed estrarre il prima possibile l’astratto dal concreto (13). Esperimento ed esempio servono a provare un discorso teorico e allo stesso tempo ad aumentare il grado di adesione ad esso, prestandosi a questo duplice intento proprio grazie alla doppiezza della loro natura: possono essere sia mezzi di prova (probare), così come vengono intesi da una retorica aristotelico-entimematica, interessata al fatto retorico in quanto fatto razionale, sia mezzi dell’amplificazione, utilizzati per agire esplicitamente sugli affetti (movere) e ritenuti particolarmente preziosi da un’altra retorica, quella non-aristotelico-patetica (che Aristotele disprezzava - la retorica dei sofisti), sbilanciata verso la zona della ricezione. L’esperimento (ex-perimentum) è per sua natura troppo vivo, per riprendere Bachelard, così come lo è l’esempio o l’ex-emplum, che dir si voglia. Sfruttando qualche traccia aperta da considerazioni etimologiche, vorrei far notare che il prefisso ex dal quale sono introdotti risponde ad una duplice funzione, cioè quella di indicare la provenienza da un fuori, da un esterno, e quella di rafforzare l’eccezionalità e la particolare forza conferite da tale provenienza: ciò che giunge da fuori spicca per evidenza e possiede la stranezza e l’estraneità delle cose che arrivano da lontano, che non possono fare a meno di apparire esotiche, bizzarre. Ma cos’è questo fuori cui l’esperimento rimanda? Decisamente si potrebbe sostenere che si tratti del fuori rispetto all’astrazione, rappresentato dalla concretezza e dalla particolarità nella loro inquietante eterogeneità. L’ingresso di un esempio in un contesto deve essere annunciato poiché il contesto non riconosce l’esempio come omogeneo: ma (14) ora facciamo un esempio, mi fermo per fare un esempio, vorrei proporre (15) un esempio, introdurre un esempio, ecc., sono soltanto alcune delle possibili espressioni attraverso le quali si rende evidente come un esempio non possa presentarsi in qualità di passaggio impercettibile del discorso, scivolamento, ma piuttosto sotto forma di frattura, piccolo e profondo taglio del tessuto, spazio incastonato in un altro spazio. Allo stesso modo l’esperimento, proposto per provare la tenuta e l’attrito di una posizione teorica, fa fermare ogni gradualità, è un balzo in un altro mondo, artificiale, incorniciato dal suo spazio scenico, performativo, sottovuoto, ripetibile o replicabile come un breve spettacolo, dal quale si spera di fare ritorno avendo goduto del ristoro offerto dal suo fascino esotico, senza tuttavia essersi persi e, in ultima istanza, carichi di notevoli e rassicuranti acquisizioni. Ma perdersi è possibile, secondo il timore di Bachelard, ed è possibile risvegliare negli spettatori nient’altro che falso interesse. Ancora avvalendomi dell’ausilio etimologico, ex-perimentum (16) include un forte rimando al periculum, cioè al pericolo, al rischio, alla nozione di péira (prova) particolarmente avventurosa ed emozionante. Dunque, smarrire la strada per uno scienziato potrebbe significare non emergere facilmente dall’esperienza proposta in due sensi: il primo consisterebbe nel rischio di tradire una tradizionale tesi della filosofia, secondo la quale la vivacità di un’immagine, contenuta in un esperimento, deve attenersi al suo ruolo esclusivamente sussidiario nei confronti del pensiero astratto; il secondo, nel pericolo di illuminare a giorno infondatezze, incoerenze, errori nascosti nelle zone buie del sistema teorico costruito. Esempi ed esperimenti sono indubitabilmente dotati di uno strano potere di trasparenza: in sé stessi, nel loro nucleo, sono densi, strutturati, opachi, chiusi, ma sono in grado di diffondere luce su tutto ciò che li circonda; in altre parole possiedono una forza esplicativa e rivelatrice. Fare smarrire la strada a chi ascolta e guarda significa, invece, abbacinargli gli occhi, provocare uno stordimento delle facoltà deputate alla concettualizzazione, al pensiero astratto. Ma tutto ciò vale soltanto se ci si ostina a voler opporre rigidamente pensiero astratto ed esperienze troppo figurate attraverso le quali è immediato il richiamo ad exempla, experimenta, analogie, metafore, e quant’altro, senza riconoscere invece gli intrecci. Una posizione riabilitante nei confronti delle immagini nella scienza e del loro potere euristico par excellence è quella di Paul Feyerabend (17), e, più recentemente, quella di Douglas Hofstadter il quale segnatamente rileva una paura a svelarsi in chi non ama usare esempi nel proprio discorso, oppure ne è troppo avaro, dovuta sia al timore che essi possano distruggere una teoria, mettendone allo scoperto imbarazzanti nudità, sia al disprezzo nei confronti del troppo vivo, identificabile con il troppo concreto, basso, banale (18). Egli confessa di servirsi sempre, quasi esclusivamente, di esempi, per comunicare addirittura a se stesso e non solo al pubblico le proprie teorie, attingendoli al serbatoio della propria vita, anche quella più intima, intessuta di esperienze quotidiane o bizzarre, ma dotate della magica forza di creare dirompenti analogie tra concetti di livelli diversi, tra differenti categorie concettuali. Nessuna difficoltà ad indugiare lungamente negli spazi dei particolari, responsabili dei balzi improvvisi da un centro teorico ad un altro, né ad immergersi in nuvole di possibilità e varianti, implicite ed esplicite, responsabili invece della morbida fluidità in cui fluttua la conoscenza. In accordo con quanto Jean-Jacques Wunenburger sostiene in La vie des images(19), «per Bachelard la concettualizzazione si sviluppa dunque contro l’immagine». La cura con la quale il raffinato epistemologo ha passato in rassegna immagini e rêveries tradisce un surrettizio atteggiamento ambivalente nei confronti di esse: incantevoli, sì, vitali all’interno dello spazio della libertà creativa, accanto all’arte, al sogno, tuttavia prive di qualsiasi diritto a partecipare alle attività cognitive proprie dell’intelligenza scientifica. Sullo sfondo di una tale posizione agisce manifestamente l’ideale della razionalità classica, delle idee chiare e distinte, del concetto definito, di una «concettualizzazione considerata come omogenea, identitaria, autonoma»(20) e non invece composita, stratificata, intrecciata ad un fuori che si spalanca sul mondo irresistibile dell’immaginario. Rimane ancora da indagare quale tipo di chiarezza e di distinzione, di verità e di precisione portino con sé questi contributi estranei che mi pare troppo luttuoso chiamare zone morte, rispetto alla vitalità che sono in grado di garantire al sapere. 1 Il corsivo è mio 2 Gaston Bachelard, La formazione dello spirito scientifico, Raffaello Cortina Editore 1995, p.18. 3 Ivi, p.3 4 Ivi, p.13 5 Ivi, p.20 6 Lubomír Doležel, Poetica occidentale, Einaudi 1990, p.29 7 Ivi, p.33 8 G. Bachelard, op. cit., p.23 9 Ivi, capp.3 e 4 10 Ivi, p.35 11 J. Th. Welter, L’exemplum dans la littérature religieuse et didactique du Moyen Âge, Slatkine Reprints 1973, pp.450-451 12 Frances Yates, L’arte della memoria, Einaudi 1985, p.69 13 G. Bachelard, op. cit., pp. 42-44 14 Si noti l’uso dell’avversativa 15 Nel senso della subiectio sub oculos, della hypotypósis retorica 16 Per l’etimo di experimentum vedi A.Ernout-A.Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue Latine, Paris 2001, 4ème éd., s.vv periculum e peritus. Per l’etimo di exemplum, ibidem, s.v 17 Paul K. Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli 1979 18 Roberta Castoldi, L’esempio tra scoperta e creatività. Intervista a Douglas Hofstadter, Intersezioni, a. XIII, n.1, Il Mulino, Aprile 2003, pp.134-135 19 Jean-Jacques Wunenburger, La vie des images, PUG 2002, p.31 20 Ivi, p.28 (Roberta Castoldi è dottoranda in Scienze Cognitive all'Università di Messina) |
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